Facciamoci un…autoritratto

In questo breve articolo non voglio dilungarmi nell’enunciare le differenze fra selfie e autoritratto, ci basti sapere che il selfie è spontaneo, il clic di un momento, l’immagine personale che diventa scatto fotografico. E’ un ricordo che ci regaliamo e regaliamo a qualcuno che sta con noi. L’autoritratto è qualcosa di più intimo e personale, qualcosa che racconta la nostra presenza nel mondo non solo attraverso l’immagine che abbiamo scattato, ma anche grazie all’emozione che essa esprime. L’autoritratto è un’immagine che rappresenta noi stessi, la nostra intimità, il nostro essere, il racconto di un mondo personale che vogliamo comunicare a qualcuno oppure tenere per noi. Esso permette di stimolare una maggiore conoscenza di sé, rendere visibili i processi naturali di autoguarigione, attivare la condivisione e la collaborazione nei gruppi.

Vediamo, attraverso le foto e gli autori che ho scelto, di dare significato ad una tecnica che ha cambiato l’esistenza di molte persone.


Autoritratto nel mondo. Potrebbe essere anche definito l’autoritratto da street, quello che racconta l’impronta che noi lasciamo intorno a noi. L’azione che facciamo, quella di premere il pulsante della macchina fotografica è volontario, lo aspettiamo e lo costruiamo con l’attesa e la pazienza. Quello che rappresenti è te stesso/a in quel preciso momento. L’autrice che forse più rappresenta questa tipologia di autoritratto è Vivian Meier. Gran parte della sua vita è trascorsa senza sapere che sarebbe diventata famosa, anche per i suoi autoritratti. Fra tutte le sue foto, quella che secondo me rappresenta meglio il suo stile. In questo autoritratto cerca di entrare, attraverso la fotografia, dentro a quel pezzo di mondo che lei vede, ed emerge forte l’esigenza di dire che lei è lì in quel momento preciso, che vuole esserci.


Autoritratto del mio ruolo sociale. Questa tipologia di autoritratto rappresenta il mio sé più formale, quello che noi facciamo vedere agli altri e che può essere definito come: il nostro ruolo sociale. L’autoritratto non è soltanto, come nella tipologia precedente, il “ci sono”, ma è il “cosa sono” e “cosa faccio”. In questa fase scattiamo perchè mossi dalla necessità di narrrare quella che è la nostra vita in quel momento, non è più solo una formale documentazione del mio essere nel mondo, ma diventa una forma più strutturate e completa di “autoracconto” di me è del mio ruolo nella società. L’autrice che ci aiuta a entrare meglio in questa forma di autoritratto è sicuramente Ilse Bing. Nel suo celebre: “Autoportrait au Leica”, si può vedere come lei entri nello scatto con più ruoli, quello di fotografa, che rappresenta il suo lavoro, quello di persona che sta aspettando di essere fotografata. Fondamentale, in questa prospettiva, il gioco fatto con lo specchio, che mette in risalto entrambi gli status che Ilse Bing riveste.


Autoritratto nelle vesti di altri, uso di una maschera. Parlare di sè non è sempre facile, soprattutto con un mezzo, la fotografia, che in alcuni casi ti “butta” in faccia quello che sei senza mediazione. Il nostro apparire in foto, a volte, non è quello che vogliamo, perchè l’argomento o l’emozione che stiamo vivendo è talmente forte che abbiamo bisogno di qualcuno o qualcosa che ci protegga. Sentiamo di voler essere altro oppure, più semplicemente, desideriamo mischiarci con qualcosa che non siamo noi. L’uso della maschera, non per forza intesa come mezzo che ci copre ma anche come status che noi interpretiamo, può avere un doppio significato: da una parte protegge noi stessi e quello che siamo, dall’altra può essere usata come forma di protesta o denuncia. In questa “categoria” una delle artiste più rappresentative è Cindy Sherman. Nel suo progetto fotografico “Untitled Film Stills (1977-1980)”, riveste ruoli di donne del cinema degli anni 50, denunciando la visione stereotipata dell’universo femminile rappresentato dal cinema di quei tempi. Una particolarità di questo progetto è che l’autrice, nei diversi panni che indossa, non guarda mai in macchina ma lascia che lo sguardo sia rivolto a qualcuno oltre la foto, come se si rivolgesse a noi o ad un eventuale interlocutore che noi non vediamo.


Autoritratto mentale. L’autoritratto mentale è quello più intimo e profondo, mette in scena non quello che c’è fuori di noi , ma quello che abbiamo dentro, la nostra intimità. Sicuramente è un lavoro di ricerca del sè, non solo fotografico ma che tocca diversi ambiti della vita. La fotografia è lo strumento per rappresentare visivamente il nostro io profondo e fare in modo di tirarlo fuori. Francesca Woodman è stata un’artista che ha messo in scena il suo corpo e i suoi pensieri, cercando di indagare temi come l’identità, l’alienazione e l’isolamento. La Woodman è stata una fotografa che attraverso le sue composizioni ha cercato di indagare questi concetti e di fondersi con loro nella fotografia.


Autoritratto e autobiografia. A differenza di altre forme di autoritratto, qui c’è una componente volontariamente terapeutica della fotografia. Lo scatto non è solo usato per esprimere emozioni, documentare o denunciare, ma è il modo per prendere coscienza di una condizione non positiva che stiamo vivendo dandoci la forza di “autocurarci”, o comunque di prenderne maggiormente coscienza. La fotografia è intesa come pratica terapeutica che aiuta la propria esistenza e il proprio essere migliorandosi. Una delle autrici che ha usato in modo terapeutico la fotografia ed in particolare l’autoscatto è Crisitna Núñez. L’artista, per superare la dipendenza da eroina usa l’autoritratto per alleviare le sofferenze e le difficoltà. Attraverso l’auto rappresentazione riesce a portare alla luce emozioni complesse per poterle rivedere e rielaborare in forma artistica.


Autoritratto come presenza. L’autoritratto usato come strumento per fare parte di qualcosa ed entrarci dentro, essere parte di un luogo, un’emozione e rappresentarla fotograficamente dentro di essa. Il corpo è usato per esprimere l’adesione a qualcosa di cui vogliamo fare parte, immergerci e scomparire in esso. Un autore che ha sviluppato questo tipo di fotografia è Arno Rafael Minkkinen, il quale ha scattato foto del suo corpo inserito nella natura circostante. La sua fusione con l’ambiente circostante è data dalla capacità di osservazione e assorbimento di quello che è l’ambiente che lo circonda, facendone parte e integrandosi in esso attraverso la fotografia. «Voglio rappresentare (…) la sensazione dell’essere senza tempo che i nostri corpi hanno, calati in una natura fuori dal tempo. La nudità della nostra pelle, simile a quella delle rocce e degli alberi, ci trasforma in esseri senza età. Abbraccio il pino con la stessa forza con cui il pino mi avvolge».


Elaborazione del lutto. Autoritratto è inteso come un momento per l’elaborazione del lutto e dei momenti difficili legati alla morte o a momenti tragici dell’esistenza. L’elaborazione può avvenire sia per il lutto di una persona a noi cara, oppure in quelle situazioni dove le persone vivono malattie che segnano il corpo e l’anima. Un autrice che ha fatto un lavoro molto interessante è Moira Ricci. Dopo la prematura scomparsa della madre ha sentito il bisogno di rivivere alcuni momenti con lei e ha iniziato a sfogliare gli album di famiglia. E’ nato in lei il bisogno di entrare in quelle fotografie e di inserirsi accanto alla madre per poter rivivere, rivedere e osservare sua madre. “Continuavo a guardare le sue foto, non riuscivo a smettere; volevo solo entrare lì per stare con lei. Mi sono inserita nel modo più preciso possibile per rendere verosimile il mio sogno di poterle stare ancora accanto, di recuperare il tempo perso e proteggerla”. Questo lavoro è raccolto nel progetto fotografico 20.12.53 – 10.05.04

Conclusioni

Questo articolo non voleva essere una dissertazione filosofica sull’autoritratto. Il mio intento, molto più umile, è stato quello di dare maggiore significato, attraverso l’esperienza di fotografi famosi che usano l’autoritratto o lo hanno usato, a una tecnica che il più delle volte è rilegata a semplice “selfie”. In un successivo articolo spiegherò come l’autoritratto può diventare uno strumento per lavorare con le persone e con i gruppi.

Qualche appunto bibliografico

Nunez, C.  – The Selfhe selfportraits experience

Sontag, S. – Sulla fotografia: realtà e immagine nella nostra società

Bonomi, G. -Il corpo solitario. L’autoscatto nella fotografia contemporanea

Barthes, R. -La camera chiara sulla fotografia

Riggi, G – L’esuberanza dell’ombra. Riflessioni su fotografia e psicoanalisi

Sherman, C – Untitled Film Stills (1977-1980)

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